L’adolescente è un “mare” di emozioni contrastanti, spesso difficili da riconoscere e identificare.
L’adolescente oscilla costantemente fra due poli: da una parte, il voler essere e volersi sentire completamente indipendente dai genitori, dall'altra il voler dar voce al bisogno intrinseco e inconsapevole dell’essere guidato e avere punti di riferimento saldi a cui aggrapparsi.
Questa ambivalenza gli crea una profonda inquietudine ed instabilità psichica ed emotiva, che si esprime spesso attraverso i cosiddetti “agiti emotivi” ampiamente diffusi fra i giovanissimi.
Per “agito emotivo” si intende un’azione impulsiva e fuori controllo delle emozioni. Gesti autolesivi, scatti d’ira improvvisi, e la difficoltà a regolare le reazioni emotive (rabbia eccessiva e tristezza pervasiva), sono alcuni dei “sintomi” più riconosciuti fra i ragazzi.
Questo accade quando non si ha la consapevolezza di ciò che si sta provando, quindi lo si agisce (il cosiddetto analfabetismo emotivo).
Ne è un esempio l’autolesionismo superficiale (cutting), molto diffuso fra gli adolescenti. La letteratura ci conferma che il 40% degli adolescenti tra i 12 e i 17 anni ha presentato almeno un episodio di autolesionismo.
La diffusione attraverso la rete di questo fenomeno è davvero inquietante.
Dai numerosi racconti che ascolto e raccolgo nel mio studio, le narrazioni hanno spesso al centro due emozioni: un dolore insopportabile e la rabbia intensa. Tali sentimenti sono i principali traghettatori di quel malessere profondo e difficilmente comprensibile che può sfociare in condotte autolesive.
Nella pratica clinica queste testimonianze sono numerose e si può ipotizzare che tali comportamenti auto aggressivi rientrino fra altri comportamenti imitativi tipici di questa età: “Anche io mi taglio, quindi sono come gli altri/ quindi esisto e mi riconosco”.
L’autolesionismo può avere diverse intenzionalità: distrarsi da un dolore emotivo, da ricordi penosi, da una forte rabbia, o essere una violenta autopunizione a causa di insopportabili sensi di colpa.
Gli adolescenti con comportamenti autolesionistici, soprattutto se ricorrenti, mostrano con maggiore frequenza altri comportamenti cosiddetti “a rischio” (comportamenti sessuali promiscui, abuso di alcool e droghe, abuso di farmaci).
Per il genitore molto spesso è uno shock accorgersi che il proprio figlio “si fa del male”, non si capacita di ciò che sta accadendo, è incredulo. Istintivamente viene da dirgli: “Ma che fai?”, “non lo fare!”. Ma in queste situazioni bisogna stare molto attenti a come si interviene e a quello che si dice, perché un'azione sbagliata potrebbe aggravare una situazione di per sé già molto difficile. I ragazzi sono emotivamente fragili, si sentono profondamente in colpa verso i propri genitori e si vergognano di ciò che fanno, alcuni nutrono una profonda rabbia nei loro confronti perché non si sentono capiti, e quindi un genitore “non sintonizzato” con i loro bisogni potrebbe provocargli ancora più sofferenza e reazioni impulsive.
All'interno di questo scenario, lo spazio terapeutico risulta essere per l'adolescente una risorsa importante, perché occasione di ascolto “autentico”, attraverso il quale arrivare a prendere consapevolezza delle emozioni che sta vivendo in quel periodo cosi articolato e spesso confuso della sua vita qual'è l’adolescenza, e grazie al quale imparare a “ridecidere” nuovi modi del sentire, liberi da qualunque esperienza dolorosamente punitiva.